sabato 8 aprile 2023

Perché gli intellettuali sono vili? (di Mircea Eliade)

 


 

Avete mai visto un “intellettuale” nel momento di una crisi politica, o di un grande
mutamento internazionale? 

Non solo è sbigottito e disinformato; questa non sarebbe neanche una vergogna troppo grande Ma è addirittura spaventato, è travolto dalla paura, è paralizzato dal panico. È confuso, fa domande a tutti, ascolta chiunque gli parli, ha una fiducia cieca in ogni imbecille politico, trema per la propria vita e libertà come l’ultimo degli schiavi. Solo allora si rende conto dello scarso “interesse” che ha avuto per la vita sociale intorno a lui. E cerca dappertutto appoggio, riparo, incoraggiamento. Rinuncia ad ogni dignità personale, dimentica completamente la sua missione storica: la paura fa di lui un farabutto o uno schiavo. 

Ogniqualvolta circolano per l’aria psicosi politiche, ognigualvolta accade o ci si aspetta qualcosa di grave — una rivoluzione, una riforma radicale, un attentato, un cambiamento essenziale dell’ordine sociale — il povero “intellettuale” romeno perde la testa. (Naturalmente, parlo solo dell’“intellettuale” puro, di quello che non aderisce a partiti o a gruppi politici).

Allora egli cerca di fare le transazioni più umilianti; e non di un concreto ordine politico, ma transazioni senza alcun profitto, senza alcuna efficacia. Dichiara al primo che incontra, che approva certi gesti politici, che anche lui la pensava così, che quello che si fa va bene ecc. Nella notte dell’insurrezione comunista agli stabilimenti Grivitza, ho incontrato un eccellente romanziere che, venuto a conoscenza di quanto era accaduto, mi ha fatto vedere subito il suo ultimo romanzo, uscito in quei giorni, per dimostrarmi che anche lui aveva promosso
una rivoluzione sociale e antiborghese.

Può darsi che fosse così. Ma non è questo il fatto significativo, bensì il fatto che l’eccellente romanziere si era affrettato a cercare punti di contatto con un movimento sociale del quale non sapeva nulla, non ne conosceva né i promotori né gli avversari, non sapeva se avesse possibilità di successo e di efficacia ecc. Non ne sapeva nulla. Scosso dalle sue preoccupazioni “intellettuali”, aveva avuto paura. Così come tutti gli intellettuali cristiani avevano avuto paura dei successi della “Guardia di Ferro” e avevano cominciato ad approvarla, non perché il programma della “Guardia” incontrasse il loro gradimento, ma perché temevano di essere sospettati e perseguitati in seguito ad una eventuale vittoria di essa. Non ho niente da dire contro gli “intellettuali” che passano da una parte all’altra della barricata
sollecitati da una certa coscienza sociale o nazionale. Ma mi ripugna la viltà degli intellettuali apolitici, che tutt’a un tratto scoprono la loro adesione ad un movimento sociale proprio alla vigilia del suo successo (o di quello che sembra essere tale).

Ed essi non fanno ciò per interesse, perché nella maggior parte non hanno niente da guadagnare, in quanto “intellettuali”, da un tale movimento. Lo fanno puramente e semplicemente per paura, per viltà. Paura che ha la propria radice nella mancanza di una coscienza “funzionale” (ci si consenta l’espressione),
nel non essere consapevoli che loro, gli “intellettuali”, rappresentano — nonostante
ogni violenza e ogni stupidità politica — l’unica forza invincibile di una nazione. Se
qualunque intellettuale si rendesse conto di ciò che egli rappresenta nella società romena, e soprattutto si rendesse conto di chi egli rappresenta, allora gli importerebbe pochissimo di qualsiasi rivoluzione, di qualsiasi guerra, di qualsiasi crisi politica. Grande o piccola, vinta o vittoriosa, una nazione non affronta l’eternità né per mezzo dei suoi politici, né per mezzo dei suoi contadini o dei suoi proletari, ma soltanto per mezzo di quello che si pensa e si crea all’interno dei suoi confini. L’ora di oggi o di domani può essere dominata da chiunque; può esser dominata perfino dai nemici, e ciò senza che una nazione perisca. Le forze che si nutrono dell’eternità, le forze che sostengono la storia di un paese c ne alimentano la missione, non hanno nulla a che fare col politico, con l’economico, col sociale. A portare tali forze, a esaltarle, sono solamente gli “intellettuali” di un paese, l'avanguardia che combatte da sola, sulle frontiere del tempo, contro il nulla. Tante province romane, mirabilmente civilizzate, sono perite per sempre perché per secoli non sono esistiti cervelli in grado di dominare la massa amorfa e le effemeridi della storia, in grado di creare valori spirituali, di nutrire una cultura. Quasi tutte le repubbliche sudamericane vivono la medesima esistenza periferica,
semistorica, in attesa che il tempo sopprima la loro geografia e il nulla inghiotta la loro attuale vita “politica.

Perciò, questo rappresentano gli “intellettuali”: la lotta contro il nulla, contro la morte; la permanente affermazione del genio, della virilità, del potere creativo di una nazione. E, in quanto tali, essi non hanno nulla da temere, non hanno motivo di farsi prendere dal panico e di umiliarsi davanti ad un movimento politico che ha la possibilità di aver successo. Innanzitutto, perché qualunque movimento politico affonda le proprie radici nelle idee di un intellettuale o di un gruppo di intellettuali. (Non parlo, naturalmente, né di governi né di legislazioni astratte, bensì di rivoluzioni, di forme e di reazioni concrete e storiche).

In secondo luogo, perché nessuna rivoluzione e nessun atto politico riguarda direttamente l’intellettuale. Può riguardare, in ogni caso, solo i suoi interessi di corporazione, i suoi agi, la sua famiglia. Nell’ora in cui qualcosa avviene politicamente, e quindi si consuma, l’intellettuale si trova molto più avanti, occupato a creare qualcosa che si nutra dell’eternità oppure a fare qualcosa che solo molti anni più tardi discenderà nelle strade e acquisirà valore politico.

Nell’ora di una rivoluzione o di una crisi, il vero intellettuale si trova troppo lontano per poter tornare indietro. È da molto tempo che egli è passato oltre. Quello che alle masse sembra nuovo, per lui è vissuto, assimilato, consumato da molto tempo.

Indifferenza nei confronti della politica, del presente politico? Niente affatto. Solo tolleranza e comprensione. Dài una mano e passi oltre. Ma in nessun caso vale la pena che tu perda l’equilibrio, ti spazientisca e patteggi con chicchessia, dimenticando che nessuno può avere il diritto di patteggiare con te. Perdi la libertà? Questa, nessuno te la può prendere. Metti a repentaglio la tua situazione materiale? Ciò riguarda la tua famiglia, non te. Rischi la vita? E allora? Quello che tu rappresenti non muore mai. Se la pensi diversamente, rinuncia all’ “intellettualità” e diventa uomo politico.

(“Criterion”, a.I, n.2,
1 novembre 1934, p.2;
trad. di Claudio Mutti})



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