domenica 19 marzo 2023

Editoriale di Fondazione

 


ANTIEUROPA non è un movimento politico, è un think tank ed una scuola di pensiero che cerca di formulare una prospettiva metapolitica. La metapolitica è politica con altri sistemi. È una strategia per contrastare l'Unione europea; un'idea del tutto contraria alla ragione e alla storia. Gli stati e le culture o avanzano nella direzione di marcia verso la loro grandezza, oppure si corrompono. La Germania, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra (solo per citare alcuni dei Paesi chiamati alla fondazione dell'Unione europea) erano giunti a diventare “Stati” e, dunque, “Nazioni”, con il loro patrimonio di territorio, di confini, di paesaggio, di patria, di lingua, di letteratura, di arte, di musica, di bellezza, di civiltà, attraverso un lungo percorso storico, perché questo “essere Stato” e, perciò, “essere Nazione” era la “forma” di civiltà cui aspiravano: piena, forte, matura, felice. Avevano perseguito questo modello con lo sforzo, il lavoro, l'ingegno, le battaglie, il sangue, l'eroismo di secoli. Ne è prova il sacrario di Redipuglia con i suoi centomila morti. L'ordinata collina di tombe, che sale a perdita d'occhio con le sue croci, è la straordinaria architettura offerta dalla natura soltanto a chi, avendo compreso che cosa fosse l'Italia e quanto l'avessero amata le innumerevoli giovani vite offerte volontariamente per lei, ha potuto vederla come tempio, non della Memoria, ma della Presenza assoluta. Perciò ci battiamo con tutte le nostre forze affinché qualcuno impedisca l'omicidio-suicidio di una delle civiltà più belle, la nostra, quella italiana, che l'umanità abbia prodotto. Ma quello che ci angoscia maggiormente è l'impossibilità di capire perché questo destino di morte sembra a molti un evento ineluttabile, al quale è giusto adeguarsi sforzandosi di collaborarvi. Maastricht era stato firmato nel 1992. Un Trattato che ha sancito uno storico divorzio, quello fra le élites economiche ed il popolo italiano. Un Trattato il cui testo sembra scritto da affaristi, che si collocano “in alto”, i quali, in base ai loro concretissimi interessi di denaro, impongono a popoli altamente civili di centrare la propria vita, il proprio futuro, sulle regole del “mercato”, assurto ad infallibile divinità. O meglio, sulla libertà di un mercato che, unico personaggio nel teatro di Maastricht, non soltanto non ha bisogno di regole, ma addirittura garantisce il suo più giusto funzionamento esclusivamente se gode di un'assoluta libertà. La sua libertà, perciò, al di sopra di quella degli uomini, contro quella degli uomini, è la nostra prigione. Le “virtù” degli adepti del nuovo dio si misurano nelle cifre dei loro bilanci, nei “Parametri” (o criteri di convergenza), che fissa quali debbano essere e mantenersi per sempre i rapporti fra i cinque dati nei quali è racchiusa la vita dell'umanità. Li riportiamo qui nella convinzione che la grandissima maggioranza degli Italiani e degli altri milioni di cittadini europei obbligati ad attenervisi, non li conosca affatto; e non li conosca perché nessuno ha voluto farglieli conoscere: L'inflazione non deve superare di più dell'1,5 per cento quella dei tre Stati più «virtuosi»; 2) il tasso d'interesse a lungo termine non può essere più di due punti sopra la media dei tre Stati suddetti; 3) negli ultimi due anni bisogna aver rispettato i margini di fluttuazione dei cambi all'interno del sistema monetario europeo e non aver mai svalutato la propria moneta rispetto a quella degli altri Paesi membri; 4) il deficit annuale delle amministrazioni pubbliche non può eccedere il 3 per cento del Pil; 5) il debito pubblico complessivo non può essere superiore al 60 per cento del Pil. Il “per sempre” di Maastricht, messo a sigillo di un Trattato fra Stati, cosa mai avvenuta prima perché la saggezza delle diplomazie è stata sempre solita lasciare uno spiraglio ai cambiamenti, si fonda sulla certezza che non possa esistere nulla di più perfetto. È scaturita da questa certezza una forma di “sacralità” del “mercato”. La frode europeista è stata resa possibile da quell'articolo 11 del testo della Costituzione che recita: “L'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Da questo articolo è stato possibile far scaturire l'eliminazione della proprietà del territorio della Nazione che rivogliamo, la perdita della sovranità monetaria e della moneta di cui esigiamo la restituzione, l'obbligo di una nuova cittadinanza che rigettiamo, di una nuova bandiera che non accettiamo. A questa evidente frode è stata aggiunta, poi, un'altra consapevole volontà fraudolenta: aver inserito l'unificazione europea nella politica estera, di cui fa parte l'articolo 11, affinché gli italiani fossero costretti a subire la perdita dell'indipendenza senza poter esprimere il proprio parere, che ha permesso a banchieri, economisti, esperti finanziari, di impadronirsi delle vere funzioni di governo, imponendone le regole a tutti. La Costituzione, infatti, vieta il parere dei cittadini nei due unici veri campi di esercizio del potere: il sistema fiscale ed il rapporto con l'estero. Ma capiamo meglio questo punto quando scopriamo che l'unificazione europea è stata voluta soprattutto dai banchieri e che l'articolo 11 è stato suggerito da un banchiere, governatore della Banca d'Italia e membro dell'Assemblea Costituente, Luigi Einaudi, premiato con la prima presidenza della Repubblica italiana. L'Unione Europea rispecchia a ogni passo della sua costruzione questo “peccato originale”: mancano i popoli. E mancano perché le canaglie che giocano in Borsa, che si occupano soltanto di denaro, e del modo di accrescerlo, neppure si ricordano che esistono gli uomini, anzi gli sarebbe d'impaccio ricordarlo, perché per queste canaglie le masse popolari sono soltanto una “feccia”. Il Trattato di Maastricht lo rivela continuamente. La nostra battaglia contro l'unificazione europea, contro gli oligarchi, contro i venditori della patria nasce dall'orrore che suscita in noi il Trattato di Maastricht. Per gli europeisti niente ha senso né valore: la patria, la lingua, la musica, la poesia, la religione, le emozioni, gli affetti, tutto quello che riguarda gli uomini in quanto uomini, che dà espressione e significato al loro vivere in un determinato luogo, in un determinato gruppo, al loro contemplare un determinato paesaggio, al loro amare, soffrire, godere, creare, veniva ignorato. È mostruoso. Non potevamo tacere. Basandoci sulla premessa che le idee giocano un ruolo fondamentale nella coscienza collettiva e, più in generale, nella storia umana. Attraverso le sua azioni e le sue opere, Evita e Juan Domingo Perón n hanno innescato una rivoluzione decisiva che ha dato al popolo giustizia sociale, diritti, vi dignitosa, ed il cui impatto si fa sentire ancora oggi. La Storia è il risultato della volontà e dell'azione umana, ma sempre nel quadro di convinzioni e di rappresentazioni che forniscono significato e direzione. L'obiettivo di ANTIEUROPA è contribuire al contrasto della rappresentazione storico-sociale europeista. Ancor più ora, l'azione metapolitica tenta, al di là delle divisioni politiche e attraverso una nuova sintesi, di rinnovare un modo di pensare trasversale ed, in definitiva, di proporre una visione del mondo coerente.

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